mercoledì 9 dicembre 2009


Si appressa il natale. Ha!!! Quest'anno niente regali, niente spese inutili, grandi abbuffate! Ognuno a casa sua! Tutte cagate! In giro per i boschi a raccoglier cicoria, in beata solitudine! Cinghiali permettendo!

domenica 22 novembre 2009


Un giorno l'uomo chiese a Dio:"Parché hai fatto la donna così bella?".
Rispose il Signore:"Perché tu ti innamorassi di lei.".
"E perché l'hai fatta così stupida?", continuò l'uomo.
"Altrimenti, come avrebbe fatto, lei, ad innamorarsi di te?".

Arena di Verona


Una volta si andava all'arena di Verona, rigorosamente gradinata est o ovest, i posti dei poveri, ma da dove si vede e si sente meglio. Arrivavi lì alle quattro del pomeriggio, seduto per terra, fuori, ad aspettare che si aprissero i cancelli: quattro ore sotto il sole cocente, a chiacchierare di niente, a mangiare panini con salame nostrano e bere Lugana. Entravi alle otto di sera, ti sistemavi sui pietroni bollenti e aspettavi l'inizio dell'opera. I Tedeschi, silenziosi e composti,infilati dappertutto; gli Inglesi e i ricchi, tutti in platea e sul palco d'onore con costosissimi e ridicoli abiti da sera; noi, in minigonna a pelo di mutande o in jeans a pelo di gnocca, sulle gradinate laterali, cioè il loggione dei melomani. E lì era il delirio:ogni tanto qualcuno si alzava e intonava la Vergine degli Angeli, dalla gradinata opposta una voce baritonale partiva con Cortigiani vil razza dannata e via così, con i gruppetti a canticchiare pezzetti dell'Alleluja o del Largo di Handel,altri i cori del Verdi o del Puccini. I migliori erano gli strilloni dei panini e dei gotti di vino: quasi tutti ragazzi delle scuole di canto e,meglio ancora, lavoratori di campagna dotati di largo torace, usi a cantare a squarciagola rispondendosi da un prato all'altro, da una collina all'altra.Non si può immaginare l'acustica dell'anfiteatro delle morene. Solo chi ci è nato lo sa!
Ci si andava almeno una volta alla settimana,all'arena, durante la stagione, e si cantava, sempre, senza pudore, senza vergogna, sulle pietre più alte, alzandoci uno alla volta, rispettando ognuno il turno del canto di ciascuno.
Ora non si fa più!

sabato 14 novembre 2009

Scent of a woman


" Scusate", disse la Fanciulla alzandosi dal tavolo apparecchiato con preziosa tovaglia di Fiandra e ponendo l'ingioiellata manina sulla pochette tempestata di pietre dure e strass," dovrei incipriarmi il naso". Tutto il maschil consesso si levò cavallerescamente in piedi, mentre sua Managerialità attraversava con andatura felina la sala del lussuoso ristorante per raggiungere gli incipriatoi. Trascorsero lenti, eterni i minuti: nella sala si udiva soltanto il sommesso educato bisbiglio dei raffinati commensali e qualche lievissimo rumor di posata. Ed ecco: l'ancheggiante potente Fanciulla comparve al limite dell'arco a tutto sesto, posto a limite fra l'incipriatoio e la salle à manger. Procedeva, flemmatica e flessuosa, certa del proprio fascino, concedendo, lungo il passaggio, gratificanti occhiate ora a destra ora a manca. Ma, ad ogni passo, un brusio , un rumore, prima sommesso, quasi gentile, poi sempre più forte, sempre in crescendo, fino a diventare una fragorosa generale sgangherata risata. La Pulzella, giunta ormai alla meta del proprio tavolo, si girò su se stessa per comprendere quanto stesse accadendo.Tutto il maschil consesso al suo seguito balzò di nuovo in piedi, percorso da un brivido: agganciato alla cintura dei ricamatissimi jeans vita bassa di raso firmati Cavalli stava, ballonzolante e pendulo, un Gled Magic Water. Il Direttore alle vendite, con balzo felino, afferrò l'orrendo bagnaticcio trofeo e se lo ficcò nella tasca dei pantaloni. Sua Fanciullezza barcollò per l'urto, caracollò sui tacchi vertiginosi,quindi cadde rovinosamente a terra, mentre la risata raggiungeva l'apogeo.Ella si rialzò,e, guardando dritto negli occhi l'Eroe, gli disse, gelida e inconsapevole: "Lei è licenziato!". Il giovane, con le lacrime agli occhi, ma accarezzando teneramente il Gled, si avviò verso l'uscita, mentre la risata si spegneva nella notte.

Implosione



Sparisce, invecchiando, l'occhiata speciale che ti fa vedere ...... più in là: cominci a sbrodolarti addosso, a vivere di ricordi, a riesumare i cadaveri, a raccontare solo quello che succede a te usando un impeccabile passato remoto, un'ineffabile consecutio temporum. Non l'hai mai fatto, cazzarola, nella parlata quotidiana!
E quante te ne son successe! Qualsiasi cosa ti raccontino, tu ce l'hai, l'hai già avuta, ti è già successa!
Piantala! Sono le storie vecchie che ti raccontava zio Angelo e che, dai dodici anni in su, ti hanno rotto le palle! Andavi a scuola nel '68. E allora? Non hai fatto la guerra! ...affanculo! Pensa a chi l'ha fatta davvero!
Sai qual è la verità? Diventi vecchia! Ti stai fistolizzando.Ci stai cascando: ti risulti antipatica da sola, ma non ce la fai: almeno una volta al giorno, insisti sulla tua autonomia, sulla capacità di farcela sempre da sola, sulla tua zampata al testosterone: per una donna che non deve chiedere, mai! Ma riva'...nculo.
Scendi dal fico, che è un albero traditore, e ricomicia a guardare....più in là!!! Prima di diventare un imploso mucchietto di innominabile ...puzzolenza!

Ciao, pa'!


Ciao,pa'. Son di nuovo qui. Ti ho portato i fiori di stoffa. Rose rosse. Le tue preferite.Mamma dice che sbiadiscono, ma non fa nulla. Poi te ne compro delle altre. Peccato per il profumo:queste non ne hanno. Ricordi Mimì? Ma i fior ch'io faccio, ahimè, non hanno odor.
Sai che fanno ventiquattro anni, che te ne sei andato, andato definitivamente, dico. Quante volte ci hai provato? Non volevi, ma capitava. Non è mai stata buona, la vita, con te, e neppure la morte.
Ricordi quando dovevi partire per Sondalo per via della tbc? Eri seduto sul ceppo per spaccare la legna nel cortile della vecchia casa. Eri disperato, ora lo so. Quanti anni avevamo, noi, le tue bambine, le tue piccole, come ci chiamavi? Io tre, quattro e Renata uno e mezzo, due? E la mamma? Ventidue o poco più? E la miseria, la fame, forse, per noi! E la solitudine! Avevo gli orecchioni e mamma mi aveva passato un fazzolettone sotto il mento, legato, poi, in cima al capo.
Ti raggiunsi, piccolina e gracile com'ero, e mi piantai davanti a te con le mani ai fianchi. "Vai subito dentro! Sei malata e devi stare al caldo!". "Torno dentro solo se tu domani non parti! Altrimenti resto qui fuori finché muoio, così tu non te ne vai perché c'è il mio funerale!". Ricordo i tuoi singhiozzi, il tuo abbraccio così tenero, caldo.
Ma partisti ugualmente, il giorno dopo e, per un tempo immemore, il vuoto, solo il vuoto.

mercoledì 11 novembre 2009

Nostro Signore Gesù Cristo alla Corte Europea


Un bel giorno, Nostro Signore Gesù Cristo, vestito soltanto di bianca tunica di tela olona, ai piedi un paio di ciabattoni infradito per evitare compressioni dolorose sulle tumefazioni artritiche causate dall'orrido rigore del freddo e del gelo, situazione climatica permanente del deserto dove spesso si ritirava per parlare con Nostro Signore il Padre suo che sta in cielo, in terra e in ogni luogo per cui non si capisce perché cavolo andasse a perdersi nel deserto, dicevo, un bel giorno Nostro Signore Junior si presentò alla Corte Europea ben deciso a dirgliene quattro. Come il giorno in cui scacciò i mercanti dal Tempio stracciandosi le vesti per protesta contro l'empio uso del luogo sacro, così cominciò a tuonare contro l'assemblea riunita.Nella grande sala regnava un profondo silenzio: nessuno osava interrompere Gesù, indignato e offeso per essere stato spodestato dai muri delle scuole. Ad un tratto gli si avvicinò l'usciere, un uomo piccolo e bruno, sicuramente di origine napoletana, il quale gli tirò dolcemente l'antica tunica, così dicendo:
" Perché, o mio Signore, venite a lamentarvi qua. Non diceste un tempo di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio? Qui è Cesare che decide e Voi, scusate l'impertinenza, non avete nulla da dire. E poi, Santa la Madonna vostra Madre, non sentite che freddo fa? Siamo a Strasburgo e siamo ad ottobre e Voi state quasi nudo! Perchè non vi recate a Roma a trovare il vostro rappresentante in terra? Vi saprà dare delle risposte.
Nostro Signore Gesù riflettè per un attimo, quindi partì per Roma. Cammina cammina, attraversò campagne e città, fiumi e laghi, scalò alte montagne. Si fermò a riposare, durante le notti, e poiché non aveva denaro, cercò rifugio sotto i porticati delle periferie, sotto i ponti vicino ai fiumi, andò a mangiare alle mense dei poveri,e, qualche volta, alla Caritas. Conobbe barboni e barbone, Marocchini e Colombiani, Curdi e Cingalesi, ognuno diverso, ognuno uguale nella sua misera umanità. Li capiva bene, in tutte le lingue: d'altronde, Nostro Signore lo Spirito Santo aveva già infuso abbondantemente la sua scienza. Bussò anche, in una di quelle notti fredde che capitano ad ottobre, alla porta di un paio di chiese, ma nessuno aprì.
"Sarà per tenere al sicuro le cassette delle elemosine. Eppure io dissi Bussate e vi sarà aperto. O forse intendevo un'altra cosa.".
Cammina cammina, nostro Signore giunse finalmente a Roma, in piazza San Pietro.
E bravo, Pietro, ti sei sistemato bene! Bisognerà bussare, qua, o entro a grugno duro come a Strasburgo. Freschino pure a Roma! Guarda. Anche qui i mercanti. La storia si ripete. Eppure son passati duemila anni! Coperte per terra e sopra la merce! Madonna Santa madre mia, come son neri. Mai visti così neri. Però non sono proprio dentro al Tempio. Che faccio? Li scaccio ugualmente indignato! No, se ne vanno da soli, scappano. Ah ecco, giungono i soldati: saranno loro a scacciarli. Ora cercherò il mio rappresentante in terra. Certo che ha una casa mica male. Comunque, a me non importa: basta che mi restituiscano il mio posto a scuola, è una questione d'onore. Non possono cacciarmi dopo duemila anni, come uno di quegli empi mercanti.

Mentre Nostro Signore cercava qualcuno con cui parlare, la gente entrava, metteva un soldino nelle cassette sparse qua e là, infilava un altro soldino in una fessura e, ecco, si accendeva una candela elettrica. Ma quanto sta accesa, chiese Gesù a una signora francese. Un'oretta, rispose la signora in francese . Ma Gesù capì benissimo per via della discesa dello Spirito Santo. Continuò il suo giro, Il Signore, e vide la cassetta delle offerte per le messe, la cassetta delle offerte per le confessioni, per i matrimoni, per gli uffici in suffragio delle anime dei morti, per accendere le luci per vedere le statue, i dipinti, le colonne, gli affreschi. E quel posto così bello. Ma ci sono solo le cassette: come posso cacciare i mercanti?
Ma sai quanti ce n'è, di luoghi così, in tutto il mondo? disse la signora francese.
Ma, e i poveri, quelli che non hanno la casa, quelli che non hanno da mangiare? Potresti fare qualche miracolo.
Mi hai riconosciuto, dunque. I miracoli non mi è più permesso farli! Interferirebbero con il principio di autodeterminazione dell'uomo.
Questa è bella! Una bella balla! Non sei quello onnipresente, onnipotente, onnisciente e via di seguito?
No, quello è mio Padre.
E che cosa sei venuto a fare, qui?
Volevo solo protestare un po', ma non lo farò. Mi hanno messo dappertutto, nelle chiese, agli angoli delle strade, sui libri, sulle testiere dei letti. In fondo non m'importa se non sono nelle scuole. Sono un tipo riservato e non mi dispiacerebbe un po' di privacy. Piuttosto, qualcuno faccia sapere al mio rappresentante in terra che sarebbe bene mettere nelle chiese qualche cassetta delle offerte per la misera umanità per cui venni sulla terra migliaia di anni fa, ditegli che ho accettato doni da uomini di ogni colore, che ho abbracciato lebbrosi e prostitute e salvato donne dalla lapidazione. Ditegli che sono morto sulla croce per testimoniare la bontà del Dio mio Padre e non per la gloria della Chiesa, dei suoi simboli e dei suoi ministri. Retorico? Noioso? Forse; però, chiaro, ma, come al solito, troppa gente ha messo mano alle mie parole, alla verità e il messaggio è stato distorto.
E ditegli anche che cambi modo di vestire! Santo Cielo, va bene non essere all'ultima moda, ma quella specie di cappello rosso con pelliccia...neanche mio padre se lo mette più. Eppure, più vecchio di lui...non c'è nessuno!
Scuotendo il capo, il Signore si allontanò dirigendosi a Sud. Forse, giunto al mare, avrebbe camminato sulle acque fino in Palestina, quindi fino al deserto per fare quattro chiacchiere con il suo vecchio Divino Genitore.

lunedì 9 novembre 2009


Voglio fare il clown!
Caspita, che tristezza! E' un triste mentecatto, il clown, cattivo e bugiardo.
Ma parli di te?
No, di te. Ho la vaga impressione che tu soffra di sindrome bipolare.
In che senso, scusa?
In che senso, in che senso? Te lo devo anche spiegare?
E perché non me lo spieghi? Forse perché non sai quello che dici.
Sì che lo so, quello che dico. Ma perché caspita te lo devo spiegare!
Così, per capire!
Ma io capisco quello che dico! Perché mi devo spiegare?
Non è che tu ti devi spiegare a te. Sono io che non capisco se tu non ti spieghi.
E se tu non capisci, io che colpa ne ho!
Ecco, vedi, tiri subito fuori il senso di colpa.
Certo, è colpa tua, se ti concupisco e se ho voglia di truccarmi da clown mentre gioco al bipolarista.
Già, ma non è colpa mia se io sono Alberto e tu ... wow, che forza di penetrazione!

venerdì 16 ottobre 2009

Stella morente


Credo di aver provato,
almeno una volta,
un'unica volta,
l'angoscia di abbandonarti:
io ti ho lasciato
per un attimo,
un piccolo infinitesimale attimo.
Non posso parlartene
e neppure descriverti, quell'attimo.
Tu non puoi,
tu non vuoi sopportarlo.
La tua fragilità
è pari
alla grossolana percezione
del mio amore per te,
alla mancanza del senso dell'assoluto.
Non sentiresti il fuoco della lacerazione,
non sapresti vedere la luce abbagliante
della stella morente.
Neghi ancora
il tuo lampo di solitudine,
la certezza della mia decisione.
Ma è stato così breve!
Decisione senza impalcatura:
e i tuoi occhi,
quegli occhi che mi accompagnano,
sempre,
anche attraverso il sonno,
facendo si' che il mio abbandono
non possa durare più di un attimo.

giovedì 15 ottobre 2009

Il cammino

E si va avanti,
giorno dopo giorno,
passo dopo passo,
lentamente,
sempre uguali,
mano nella mano,
occhi negli occhi,
passione perversa dei corpi,
quieto sentimento parallelo.
Si va avanti,
cercando la dimenticanza,
il vuoto della mente
per non vedere
le nostre immagini
sparire nel tempo,
una dopo l'altra,
in solitaria successione.
Non è questo che voglio:
voglio andarmene con te,
giorno dopo giorno,
passo dopo passo,
mano nella mano
nell'attesa
di continuare
in eterno
il ritmo costante,
la musica verticale,
appesa al cielo,
alla corda di un violino
dal suono ineccepibile.
E cosi' si va,
giorno dopo giorno,
passo dopo passo,
mano nella mano,
occhi negli occhi,
fino all'ossessione,
sasso dopo sasso,
muro dopo muro.
E si va,
per la nostra strada,
senza respiro,
senza lasciarci,
senza un lamento,
senza un richiamo.
E così si va:
accanto a me,
accanto a te,
perché tu mi ami,
perchè io ti amo.

martedì 6 ottobre 2009

Il Patriarca, mentre giocava a tressette, guardava Parolini, che seguiva, assorto, la partita e rollava incessantemente il polpastrello del pollice contro quello dell'indice. Più o meno un'ora dopo, il Patriarca, dopo aver provato a rollare di nascosto con la mano sotto il tavolo, apostrofò lo spettatore:" Si può sapere che gusto ci provi a far così? Mi sembri uno scemo!". "C'hai provato, eh ?! Ma ce l'hai messa, la caccolina?".

lunedì 5 ottobre 2009

Le rape rosse

Ci sono cose, nella vita, che vorresti non succedessero mai. A me, per esempio, che sono una cloaca in fatto di cibo, cioé mi piace tutto, a me, dicevo, fanno schifo le rape rosse. Anche da piccola, le odiavo, e né mia madre, donna saggia e comprensiva, né mio padre, uomo bresciano tipo albero degli zoccoli, mi imposero mai di mangiarle.
Avvenne che, a sei anni non ancora compiuti, dopo l'orrido periodo legato alla tubercolosi di papà, l'inps pensò bene di regalare ai figli degli ex malati, un mese di permanenza nelle proprie colonie montane, per cui, piccola e ancora analfabeta, venni spedita nella casa di soggiorno di Locca di Ledro. Nessuno può immaginare la disperazione di un bambino nell' assurda solitudine di una colonia affollata e, soprattutto, nessuno può immaginare la mia doppia disperazione quando, un giorno,a tavola, mi fu posto davanti un piatto di rape rosse. Con i polsi appoggiati al bordo del desco montano,guardavo terrorizzata il mostruoso sanguigno mucchietto, stretta nella morsa laterale dei bimbi miei compagni di sventura che, a loro volta, riuscivano a muovere soltanto le dita, mancando lo spazio per allungare le braccia oltre il piatto, men che meno fino al bicchiere. Eravamo troppi, troppi figli della miseria, del freddo e della tbc.
"Perché non le mangi?". Era la voce rassicurante della mia Signorina, una di quelle maestrine che facevano assistenza nelle colonie pubbliche per un misero zero virgola dieci di punteggio. Mi piaceva, quella mia Signorina: aveva la voce morbida come quella della mamma e, ascoltandola, mi passava la voglia di piangere. "Non mi piacciono, le rape rosse", risposi sicura di me,"mi fanno venire l'urlo del gomito!".
Intanto le Signorine erano diventate tre e mi guardavano fisso. Io ricambiavo lo sguardo con la sicurezza e la spavalderia dei miei cinque anni e mezzo quasi sei.
E loro, le tre Signorine, si misero a ridere a sganascia denti, anche la mia Signorina preferita, e io persi in un lampo il mio sguardo ardito, la mia fierezza e mi lasciai andare ad un pianto sconsolato, mentre le tre grazie ripetevano stoltamente il mio storpio di frase.
Piansi per poco, pochi minuti di abbandono! Mi alzai di scatto e, sebbene con le braccia quasi bloccate dalla spinta degli altri bambini, detti un colpo secco sotto il piatto: le rape finirono miseramente in mezzo al tavolo e, in parte, nella brocca di quell'acqua che mai nessuno aveva potuto bere.
Non ci crederà, chi legge, se qualcuno legge, ma, diventata adulta, ho voluto mangiare le rape, ho imparato persino a gradirle, perché, quel giorno, mi ripromisi che mai più nessuno avrebbe riso per le mie parole sbagliate. Da quel giorno cominciai ad accumulare libri, montagne di libri, preziosi come null'altro, e non solo libri, ma tutto quanto fosse suscettibile di lettura, e, ancora oggi, leggo, leggo, leggo. E, non ridete, mangio le rape per gratitudine.

giovedì 20 agosto 2009

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo, muti.


Cesare Pavese


22 marzo '50

venerdì 14 agosto 2009

Paura


Andiamo avanti accecati dalle varie religioni inventate dai nostri padri contro il terrore dell'immenso ignoto! (Guy de Maupassant)

giovedì 30 luglio 2009

Pediculosi

"Signora Sveltolessi", disse il medico scolastico,"si vuole decidere a curare seriamente sua figlia o devo proprio sospenderla da scuola finché i pidocchi non saranno spariti?".
"Faccia come vuole, dottore, tanto non serve a niente. Finché non ci si richiude la pidocchiaia, a Enrica i pidocchi ci restano. Ma che faccia fa, dottore! Che, non lo sa che dietro la testa dove si attacca il collo c'è la pidocchiaia? Ma che razza di dottore è?".

mercoledì 29 luglio 2009

Poesia

"Di che cosa siamo fatti noi,
che viviamo il nostro breve tempo
con le piaghe nelle mani
cercando di scolpire nel marmo
la memoria nostra e dei nostri figli.
Che cosa siamo noi,
che vaghiamo nel nostro breve tempo
con le piaghe nella mente
cercando di comprendere
il nulla che ci precede e il nulla che ci seguirà.
Che cosa abbiamo noi,
che amiamo il nostro breve tempo
e lo teniamo stretto
fino a stritolarlo
cercando di trattenerlo
senza riuscirvi,
mai,
neppure avvolgendolo con l'anima.
Questa anima dolorante
che saprà forse trovare
il tempo degli uomini,
uomini
privi
di piaghe nelle mani,
di piaghe nella mente.
Solo
anime bianche,
morbide essenze
di affetti indissolubili."

"Caspita, vecchia canaglia di un vecchio balordo. Siete stato di nuovo chiuso in cantina a distillare la grappa! Vi ho detto di tenere almeno la porta aperta, sennò tutte le volte vedete i fantasmi!". Il Patriarca ammiccò e Gemma se ne andò sciabattando sul ciottolato.

E pensare che noi abbiamo fatto tanto per te!!!

Enrica Sveltolessi e i suoi genitori furono convocati dalla maestra per un colloquio serio, molto serio. No, così non andava. La bambina era sempre in ritardo, non faceva mai i compiti a casa, non stava attenta, non alzava mai la mano. In classe stava sempre seduta di traverso con lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe.
" Non impara a leggere, scrive solo in stampato, non sa ripetere una sola lezione perché non studia mai, non sa le tabelline, perciò non esegue calcoli.".
Mamma:" Ma, io non so che dire! Forse perché è dislessica! Ho portato la copia della diagnosi, o no?". La mamma sudava sangue:" Ma voi a scuola non potete, magari, che ne so, dico per dire, non vorrei mai che...,preparare un pochino, poco, senza portare via troppo tempo a..., beh, insomma, un po' di programmazione differenzia...aaata?".
La voce della maestra si abbassò di un tono: la pulzella con caschetto balzellante ad ogni passo, deretano a culo d'anatra con uropigio, tette spinte in alto da bustino per presunta ernia del disco lombare, suddetta pulzella divenne tutt'a un tratto un baritono.
"Signora, lei non può venirci a dire che cosa dobbiamo fare". La voce si alzò di un semitono:"Lei deve soltanto occuparsi di sua figlia e fare la madre". Un altro semitono verso l'alto: "La faccia studiare. La faccia alzare prima, il mattino. E che sia più ordinata, più precisa!". Un altro tono più su . La voce si era fatta stentorea e il colorito intenso. L'acuto era prossimo. Il padre, depositario del patronimico Sveltolessi non sopravvivendo altri Sveltolessi in linea diretta ascendente, piccolo uomo mite e grassottello, fermo poco più in là con il capo chino, si girò verso la figlia e, guardandosi la punta delle scarpe, disse:
" Lo sapevo, doveva per forza finire così. Una femmina! Io non la volevo. Avevamo già due maschi grandi, che non c'hanno fatto tribolare per niente,a crescerli! Potevamo mandarla a perdere! E adesso, guarda. Lavoriamo come gli animali, le compriamo tutto quello che vuole. E lei, la mattina non vuole mai venire a scuola, mi fa diventare matto. Sua mamma fa i turni e arriva nel pomeriggio, io torno la notte alle due, alle tre -faccio il pizzaiolo- e la mattina delle volte non ce la faccio proprio ad alzarmi. E faccio tutto per lei, e lei non impara a leggere e fa la quarta!",
Mamma:"Forse perché è dislessica! La diagnosi...".
Papà, testa bassa, voce sempre più atona:
"Sei tu che l'hai voluta. E adesso goditela, quest'asina che non sa niente. Io le ho anche comprato il computer, dillo alla maestra, che te l'ho comprato!".
Enrica Sveltolessi ebbe un lampo improvviso nello sguardo, una balugine felina serpeggiò dagli splendid occhi color dell'oro in direzione del genitore.
E per tutta la scuola si udì un urlo:" Ma chi cazzo te l'ha chiesto!!!".
Alleluja! E' finalmente chiaro. Esiste un dio dislessico!

martedì 21 luglio 2009

Adele

La notizia percorse le vie come una scarica elettrica e scosse i sensi e le menti: Adele era stata assassinata. Perché, si chiedevano tutti, non ha mai fatto male a nessuno! Era una signora dolce, serafica, un po' strana, a dir la verità. Vestiva rétro, con guanti di pizzo sempre, bianchi d'estate neri d'inverno. Sorrideva in modo lieve e parlava usando la voce come una nenia dolce e rassicurante. Gestiva una tabaccheria a San Pietro,piccolo vecchio grumo di case poco lontano dal paese maggiore.Il negozio si trovava al piano terra della casetta, mentre al piano superiore c'era l'abitazione. E qui, in cucina, sgozzata dalla lama di un coltello da bistecca, Adele aveva finito la propria vita. Pochi giorni dopo fu arrestato un ragazzo, che confessò rapidamente il delitto, chiudendosi poi in un silenzio che dura ancora oggi, a distanza di quasi trent'anni.
Dicono che durante la confessione abbia esclamato:" Era una strega maledetta! Neanche in chiesa era normale. Non vi ricordate che portava il velo di pizzo nero al contrario, con la punta sulla fronte? Io andavo lì per comprare le sigarette, e lei mi invitava sempre a casa sua, a pranzo, a cena, a merenda...Io volevo solo le sigarette, solo le sigarette, solo le sigarette...".

lunedì 13 luglio 2009

Parassitosi

Situazione: Controllo igienico sanitario
Tempo storico: Quando il medico scolastico poteva ancora fare il medico scolastico
Luogo: Scuola primaria, classe seconda

Dottore: Senti, piccola come ti chiami? Ah, Enrica Sveltolessi! Sono quattro settimane di seguito che mando a casa il cartellino di segnalazione di pediculosi e la tua testa va sempre peggio. Perché la mamma non si decide a lavartela e a curarti come si deve?
Enrica Sveltolessi: Veramente la mamma, quando legge il cartellino, continua a borbottare che non capisce come mai tu insisti a dire che ho i piedi sporchi. Me li lava due o tre volte al giorno con l'acqua bollente e io non riesco neanche più a mettermi le scarpe per il bruciore. E dice anche che sei un po' scemo perché la volta dopo mi riguardi la testa e mai i piedi. Magari, se ti decidi, domani riesco a mettermi le scarpe da ginnastica per andare in palestra.

Allergia

Scuola primaria, classe seconda, avviso sul diario:
Si comunica ai Sigg. Genitori che , in data 22 maggio p.v., verranno somministrati agli alunni i test previsti dal progetto svolto in collaborazione con la Dott.ssa Angeli dell'università di Pavia. Distinti saluti.
Firma di un genitore o di chi ne fa le veci

Mattino del giorno dopo.
Solita mamma di Enrica Sveltolessi che prova a superare lo sbarramento bidelle. "Signora, non può entrare."
"Io entro eccome. Questione di vita o di morte. Devo parlare con le maestre!".
"Dica a noi! Riferiamo subito! Lei non può entrare tutte le mattine! Se i genitori facessero tutti così!"
"Io entro!".
"No!!! Proprio no, lei stamattina non entra! Ci siamo stufate della sua prepotenza e, inoltre, abbiamo disposizioni precise, se lei insiste, di chiamare le forze dell'ordine!".
La signora si sgonfia alla fatale citazione! Passino vigili, carabinieri, polizia, ma le forze dell'ordine!
Si gira verso il vialetto esterno come per andarsene, poi di nuovo verso le indomite bidelle e, con la destra alzata e l'indice puntato e minaccioso, fa dice:" E va bene!!! Me ne vado! Ma dite alle maestre che non si permettano di far mangiare nulla a mia figlia che è allergica a tutto senza il mio permesso scritto e, soprattutto, senza il parere del pediatra! Chiaro?! Vi denuncio tutti, io, tutti! Chiaro?".

domenica 12 luglio 2009

Prezzo zero

Che mi costa alzarmi ogni mattina alle sette, uscire per andare a lavorare e fare un sorriso a quella che versa nel mio cortile venti chili di roba puzzolente per i due o tremila piccioni che poi scagazzano sulla mia biancheria, sul mio terrazzo e sulla mia testa?
Che mi costa sorridere alla mamma del bambino di tre anni che aspetta l'autobus alla mia stessa fermata e dice ogni giorno, quando mi vede "Arriva la bagascia" e quella mamma sghignazza divertita?
Che mi costa fare un bel sorriso al vecchio rancido che,sul bus,mi dà una bastonata sullo stinco dicendo che devo cedergli il posto perchè lui è vecchio? Ma se stai bene, ma se non c'hai un cazzo da fare! Ma perché non stai a dormire a quest'ora della mattina?
Che mi costa sorridere al controllore che chiede il biglietto a me che sono convinta di avere la tessera nel taschino laterale della borsa e mi accorgo che la borsa non ha neanche il taschino perché stamattina ne ho preso un'altra e lui mi guarda come una ladra e ci impiega trentacinque minuti a farmi il verbale e intanto è ora di scendere e intanto quello che so che il biglietto non ce l'ha mai è già sceso due fermate prima?
Che mi costa sorridere all'obesa signora che, mentro al capolinea cerco di scendere, lei sale attraverso l'uscita e mi pesta l'alluce dove ho un principio di unghia incarnita?
Che mi costa sorridere al buttadentro dell'esattoria delle tasse che, dopo cinque ore di coda fuori al caldo, diventa un buttafuori e dice di andare tutti a casa perché gli impiegati non fanno più in tempo a servire tutti?
Che mi costa sorridere alla signora del piano di sopra quando la incontro nel portone dopo che, per tre notti consecutive, ha spostato i mobili fra l'una e le tre per cambiare assetto alla casa perché di giorno lavora?
Che mi costa sorridere al mio trentacinquenne figlio che viene a passare qualche raro fine settimana dai suoi genitori e pretende che tutto sia immutato e immutabile nel tempo?
E che mi costa sorridere all'uomo che mi è marito non ricordo nemmeno più da quanto tempo e che protegge e difende e realizza,serafico e costante , qualsiasi evento catastrofico si verifichi, la sua nannina, la sua cacchina, la sua pappina, la sua partitina?

E se li mandassi tutti affanculo, e, insieme a loro tanti altri, che mi costerebbe?

Ringrazio Pia per lo spunto.

SILLABARIO

"Gemma, senti", disse il più giovane dei cinque figli del Patriarca di Montalbano mentre la cognata gli versava il caffelatte nella scodella e gli passava il pan biscotto per la colazione. "Gemma, senti. Tu non sai leggere e scrivere. Che dici se ti compro un sillabario e ti aiuto a imparare?". "Se ci tieni, va bene, Gio! Però i conti che mi servono per la spesa, per vendere i polli e le uova e per i giorni del calendario li so fare. Leggere e scrivere non mi servono a niente.".
"Ma chi sa leggere e scrivere sa meglio difendersi!". Gemma non capiva: da che cosa avrebbe dovuto difendersi?
Ma Gio (Giovita per intero) era il suo cocco e decise di provarci.
E così, ogni giorno, imparava una lettera. Ma il giorno dopo non la sapeva più. Gio non era contento e Gemma ancora meno. Si incaponiva sugli esercizi e intanto lasciava indietro la casa, la stalla, le mucche, gli altri animali, i cortili. Dopo qualche giorno, la fattoria era un macello e nessuno sapeva perché, visto che tutti uscivano il mattino e tornavano la sera, e la Gemma restava lì a fare la residora.
Un giorno, però, Lorenzo, suo marito, il maggiore dei cinque fratelli, tornò a Montalbano con il veterinario avendo notato che Moro, uno dei due buoi, non stava troppo bene. Capitò nel cucinone, Lorenzo, dietro le spalle di Gemma che ripeteva, con il sillabario aperto, A come ape, O come oca, U come uovo, e così via. L'uomo la prese per i capelli e le sbatacchiò qua e là la testa, gridando:" Ecco perché! Ma che cosa credi, che ti abbia sposato per fare la signora? Se ti trovo di nuovo a perdere tempo, ti chiudo in un sacco e ti riempio di legnate!".
Gemma raccolse da terra le forcine per i capelli e risistemò le lunghe grosse trecce intorno al capo, annuendo verso il marito. Aveva capito.
Il mattino dopo, nel cesso, appese al gancio della carta per pulirsi quando il fico era spoglio, stavano, tagliate meticolosamente a metà, le pagine del sillabario.

martedì 7 luglio 2009

Il Patriarca

Il Patriarca uscì dal portico posteriore della cascina di Montalbano, quello che dava sulla strada che portava ai vigneti. Indossava i suoi soliti pantaloni grigi con il fondo leggermente risvoltato, calzerotti fatti a mano e sandaloni di cuoio. Portava, appeso alla vecchia cintura essa pure di cuoio grasso, un grosso corno adatto per contenere le cesoie da vigna. Aveva indosso una vecchia camicia profumata di sapone da bucato, infilata solo in parte nei pantaloni e seminascosta dal gilet mille tasche, queste ultime piene di mille inimmaginabili piccoli oggetti. Angelina e Silvana stavano sedute un po' più in là del letamaio a chiacchierare. Silvana stava per sposarsi, Angelina aveva appena avuto la sua prima mestruazione. I loro padri erano il più vecchio e il più giovane dei cinque figli del Patriarca; le due cugine mantenevano la proporzione temporale dell'albero genealogico. "Nonno, vieni un po' qua con noi.".
Il Patriarca disse "Sì!" e si infilò nel cesso spinto da urgente necessità. Dopo qualche istante, si vide una mano uscire dalla porta sgangherata e strappare le foglie dell'albero di fico piantato ad arte accanto alla porta. Dopo alcuni rumori, un pacato grido di liberazione e un'imprecazione per l'azione urticante delle foglie di fico, il patriarca uscì dal cesso. Era un po' provato, sudato: prese la stradina che portava al campo grande e si avvio'. Dopo qualche passo, rallentò, calibrò l'andatura e si mise a camminare caracollado ad ogni passo e ad ogni passo si udiva l'inequivocale rumore di un peto possente. L'esecuzione procedeva a ritmo di quattro quarti con movimento lento ma non troppo. Ma nonno, che cosa fai. "Chi, io? Niente ". Ma nonno, come niente, e poi continui a girarti. Che cosa guardi. Guardi se le vedi, le tue loffe? "No, guardo se le raccogli. Pesano un po', ma potrebbero esserti utili. E poi sapete come si dice, no? Trombità di culo sanità di corpo. C'è più spazio fuori che dentro. Ma 'ndo vai se la banana ... non ce l'hai!
" Ma nonno, che c'entra la banana!" "C'entra, c'entra... Basta ungere bene!"
La Silvana, che sa le cose, lo guarda:"Oddio, il nonno è impazzito!".
"Che cavolo stai pensando, tu! C'ho novant'anni...e allora? Mi tira ancora! E allora! Tua nonna è morta da trent'anni e son trent'anni che aspetto di rivederla in paradiso e ieri quel pirla di un prete ha detto dal pulpito che finalmente in cielo saremo liberi dal piacere della carne! Liberi, capisci? Trent'anni, capisci?E fammi cantare, va!
Ma 'ndo vai se la banana...non ce l'hai!"

Gemma


Gemma faceva la residora, nella fattoria di Montalbano. Per chi non lo sapesse, nelle famiglie patriarcali del bresciano, la residora era la nuora moglie del figlio maggiore del Patriarca, la quale nuora ereditava naturalmente i compiti della Matriarca, cioè doveva badare alla casa e a tutti i suoi abitanti. Il Patriarca di Montalbano aveva cinque figli, tutti maschi e tutti stramaschilisti. Gemma era entrata per prima, nella famiglia, con tutti quei maschi ancora da sposare più il Patriarca. Non voglio esaudire ogni curiosità circa l'adattamento di Gemma alla sua nuova vita da sposina e all'inserimento nella grande famiglia di Montalbano.
Un anno dopo la cerimonia nuziale, un mattino, sul far dell'aurora, Gemma scese in cortile stringendo le cocche del grembiule colmo di mais frantumato, becchime per i polli. Al suo magico richiamo, le si radunarono attorno anatre, faraone, giovani pollastri e un paio di tacchini. Dall'apertura alta del pollaio svolazzarono una decina di galline ovaiole, la Nerina, la Rossa, la Bianca, la Dorina e via via tutte le altre, ognuna con il proprio, nome. In alto, sul primo piolo della scaletta, orgoglioso e fiero, con le piume lustre e lucenti ai raggi del primo sole, Gerardo, magnifico gallo, valente Re del pollaio. Discese lentamente i sette pioli del trono, si avvicinò alla plebaglia del cortile che si contendeva il becchime mescolato con la polvere e il proprio sterco, gonfiò le piume del collo, tese le penne delle ali e della coda e cominciò a menar beccate finché fu solo davanti a Gemma. Stessa cerimonia di ogni mattina. Gemma aprì definitivamente le cocche del grembiule e lasciò cadere a terra il pasto riservato a Re Gerardo . L'enorme gallo si avvicinò al mucchio di mais e iniziò a riempirsi il gozzo, mentre gli altri stavano a guardare. Gemma lo fissava come sempre, ma quella mattina non pensava"Guarda lo stronzo", ma aveva nello sguardo una luce fredda, un bagliore mefistofelico. All'improvviso, prima che il Re se ne rendesse conto, Gemma lo afferrò per il collo e, pronunciando a mezza voce "Caro il mio Re, é giunta l'ora di smettere di fare il Re", gli ficcò il dito medio sotto la coda e lo capponò.

mercoledì 4 marzo 2009

Sorelle

Uno pensa di avere una sorella e i ricordi relativi dal 1°marzo del '52, belli i ricordi, affettuosi. Tu, che eri la più grande la proteggevi, la tenevi per mano lungo la strada, e, mentre crescevate, eravate sempre insieme, facevate tutto insieme, mentre tutti dicevano:" Ma guarda quelle due sorelle", e tu fino all'anno scorso, raccontavi così, i tuoi bei ricordi. Poi scopri che per lei i ricordi sono diversi, tutto il contrario. Ti scappa un ceffone. Non ti perdona, ancora adesso, dopo quattro anni. Perché i ricordi possono essere diversi? Ho sbagliato, col ceffone? Mi sembrava giusto...se ci penso, non provo pentimento.

Sorelle

Quel giorno avevo riportato mia madre a casa dopo tre settimane di vacanza da me. Faceva caldo (era luglio alla fine o agosto all'inizio) e, giuro, mangiavamo polenta e lumache.C'erano anche mia sorella e i suoi due figli. Secondo me, sono state quelle, le lumache, più che la separazione dal marito, la fregatura economica da parte dello stronzone, il cedimento dei muscoli nella nuotata per stare a galla nella merda della vita, loro, le lumache hanno fottuto per un attimo il cervello già stanco della mia sorella piccola, l'unica che ho e che ho sempre adorato e raccontato a tutti come una tenerissima presenza della mia vita. Era lì, con i suoi figli, e raccontava raccontava raccontava l'umiliazione di avere un uomo quasi consacrato prete e scappato ai voti perenni all'ultimo minuto,portandosi appresso l'incapacità di amare umanamente, cioé una donna, i figli, il lavoro. Però però!!! Però sapeva amare tutte le donne facendole felici allo stesso modo così non soffrivano. Sapeva stare con tutti, tutti amici, bevendo con tutti, cantando con tutti, fino all'alba.. Che bello! Tutti d'accordo: le pastasciutte, il barbecue, il caminetto, il vino buono del contadino! La rovina! E tante belle parole e tanto rispetto a bocca piena e bicchiere pieno!E il salame del contadino, le verdure dell'orto, i polli ruspanti, i cotechini, il cappone, e vai e vai e vai. E i bambini che piangono e crescono e lui non sa che fanno. E il maschio se ne va. Dove? Non lo sa neanche adesso. La femmina gigioneggia come una bimbetta: ha trent'anni e un culo di due metri quadrati. Siamo tutti lì, a casa di mia madre, quasi in riva al Garda, tutti lì, madre, due figlie, due nipoti, e mangiamo polenta e lumache con 37 gradi all'ombra. A me, che sono più fortunata come marito, viene un sorriso, anche perché ho appena captato il sommellier poeta dei vini, a Gusto TG5, che se lo ascolti, in fondo al bicchiere del pigato vedi e annusi tutta la Liguria. Signore perdonami, non l'avessi mai fatto quel sorriso, forse ho detto anche qualche cosa, ma non ricordo! La crisi terribile, giusta della mia sorella piccola e io che non ascolto mai e noi che non siamo mai andate d'accordo e io la più bella la più brava la più intelligente la cocca di papà. Ma non é vero!E se ne va! Dico ai ragazzi:"Ma perché fa così? Si gioca gli affetti di chi le vuole bene davvero!" Rientra urlando ma che cazzo dico,e non pensare di farmi sentire in colpa. Io? Perché dovrei pensare una roba così? E io e io e io, io io io sempre io. Santo cielo! Ma sta male! Mi avvicino per rassicurarla, penso... le faccio una carezza, magari l'abbraccio! Mi guarda con una espressione terribile e mi dà uno spintone. Aiuto! La crisi isterica!

Faccio quello che mi hanno insegnato a uno stupido, ora lo so, corso di pronto intervento: le mollo un ceffone. Lei, oddio che cosa straziante, piange, singhiozza, si sente umiliata davanti ai figli. Ho sbagliato, sbagliato tutto.

Ci accorgiamo che i ragazzi se ne sono andati.

Quando decide di andarsene pure lei, mi guarda e mi dice:"Comunque non farlo più: potrei anche ucciderti.".

Sono passati quattro anni e non mi ha mai perdonato.

Ho sofferto e soffro molto, mi vergogno, ma se ci penso in quel momento credevo di fare bene, e allora non mi pento. Eccolo qui, il mio titolo.