lunedì 5 ottobre 2009

Le rape rosse

Ci sono cose, nella vita, che vorresti non succedessero mai. A me, per esempio, che sono una cloaca in fatto di cibo, cioé mi piace tutto, a me, dicevo, fanno schifo le rape rosse. Anche da piccola, le odiavo, e né mia madre, donna saggia e comprensiva, né mio padre, uomo bresciano tipo albero degli zoccoli, mi imposero mai di mangiarle.
Avvenne che, a sei anni non ancora compiuti, dopo l'orrido periodo legato alla tubercolosi di papà, l'inps pensò bene di regalare ai figli degli ex malati, un mese di permanenza nelle proprie colonie montane, per cui, piccola e ancora analfabeta, venni spedita nella casa di soggiorno di Locca di Ledro. Nessuno può immaginare la disperazione di un bambino nell' assurda solitudine di una colonia affollata e, soprattutto, nessuno può immaginare la mia doppia disperazione quando, un giorno,a tavola, mi fu posto davanti un piatto di rape rosse. Con i polsi appoggiati al bordo del desco montano,guardavo terrorizzata il mostruoso sanguigno mucchietto, stretta nella morsa laterale dei bimbi miei compagni di sventura che, a loro volta, riuscivano a muovere soltanto le dita, mancando lo spazio per allungare le braccia oltre il piatto, men che meno fino al bicchiere. Eravamo troppi, troppi figli della miseria, del freddo e della tbc.
"Perché non le mangi?". Era la voce rassicurante della mia Signorina, una di quelle maestrine che facevano assistenza nelle colonie pubbliche per un misero zero virgola dieci di punteggio. Mi piaceva, quella mia Signorina: aveva la voce morbida come quella della mamma e, ascoltandola, mi passava la voglia di piangere. "Non mi piacciono, le rape rosse", risposi sicura di me,"mi fanno venire l'urlo del gomito!".
Intanto le Signorine erano diventate tre e mi guardavano fisso. Io ricambiavo lo sguardo con la sicurezza e la spavalderia dei miei cinque anni e mezzo quasi sei.
E loro, le tre Signorine, si misero a ridere a sganascia denti, anche la mia Signorina preferita, e io persi in un lampo il mio sguardo ardito, la mia fierezza e mi lasciai andare ad un pianto sconsolato, mentre le tre grazie ripetevano stoltamente il mio storpio di frase.
Piansi per poco, pochi minuti di abbandono! Mi alzai di scatto e, sebbene con le braccia quasi bloccate dalla spinta degli altri bambini, detti un colpo secco sotto il piatto: le rape finirono miseramente in mezzo al tavolo e, in parte, nella brocca di quell'acqua che mai nessuno aveva potuto bere.
Non ci crederà, chi legge, se qualcuno legge, ma, diventata adulta, ho voluto mangiare le rape, ho imparato persino a gradirle, perché, quel giorno, mi ripromisi che mai più nessuno avrebbe riso per le mie parole sbagliate. Da quel giorno cominciai ad accumulare libri, montagne di libri, preziosi come null'altro, e non solo libri, ma tutto quanto fosse suscettibile di lettura, e, ancora oggi, leggo, leggo, leggo. E, non ridete, mangio le rape per gratitudine.

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