giovedì 30 luglio 2009

Pediculosi

"Signora Sveltolessi", disse il medico scolastico,"si vuole decidere a curare seriamente sua figlia o devo proprio sospenderla da scuola finché i pidocchi non saranno spariti?".
"Faccia come vuole, dottore, tanto non serve a niente. Finché non ci si richiude la pidocchiaia, a Enrica i pidocchi ci restano. Ma che faccia fa, dottore! Che, non lo sa che dietro la testa dove si attacca il collo c'è la pidocchiaia? Ma che razza di dottore è?".

mercoledì 29 luglio 2009

Poesia

"Di che cosa siamo fatti noi,
che viviamo il nostro breve tempo
con le piaghe nelle mani
cercando di scolpire nel marmo
la memoria nostra e dei nostri figli.
Che cosa siamo noi,
che vaghiamo nel nostro breve tempo
con le piaghe nella mente
cercando di comprendere
il nulla che ci precede e il nulla che ci seguirà.
Che cosa abbiamo noi,
che amiamo il nostro breve tempo
e lo teniamo stretto
fino a stritolarlo
cercando di trattenerlo
senza riuscirvi,
mai,
neppure avvolgendolo con l'anima.
Questa anima dolorante
che saprà forse trovare
il tempo degli uomini,
uomini
privi
di piaghe nelle mani,
di piaghe nella mente.
Solo
anime bianche,
morbide essenze
di affetti indissolubili."

"Caspita, vecchia canaglia di un vecchio balordo. Siete stato di nuovo chiuso in cantina a distillare la grappa! Vi ho detto di tenere almeno la porta aperta, sennò tutte le volte vedete i fantasmi!". Il Patriarca ammiccò e Gemma se ne andò sciabattando sul ciottolato.

E pensare che noi abbiamo fatto tanto per te!!!

Enrica Sveltolessi e i suoi genitori furono convocati dalla maestra per un colloquio serio, molto serio. No, così non andava. La bambina era sempre in ritardo, non faceva mai i compiti a casa, non stava attenta, non alzava mai la mano. In classe stava sempre seduta di traverso con lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe.
" Non impara a leggere, scrive solo in stampato, non sa ripetere una sola lezione perché non studia mai, non sa le tabelline, perciò non esegue calcoli.".
Mamma:" Ma, io non so che dire! Forse perché è dislessica! Ho portato la copia della diagnosi, o no?". La mamma sudava sangue:" Ma voi a scuola non potete, magari, che ne so, dico per dire, non vorrei mai che...,preparare un pochino, poco, senza portare via troppo tempo a..., beh, insomma, un po' di programmazione differenzia...aaata?".
La voce della maestra si abbassò di un tono: la pulzella con caschetto balzellante ad ogni passo, deretano a culo d'anatra con uropigio, tette spinte in alto da bustino per presunta ernia del disco lombare, suddetta pulzella divenne tutt'a un tratto un baritono.
"Signora, lei non può venirci a dire che cosa dobbiamo fare". La voce si alzò di un semitono:"Lei deve soltanto occuparsi di sua figlia e fare la madre". Un altro semitono verso l'alto: "La faccia studiare. La faccia alzare prima, il mattino. E che sia più ordinata, più precisa!". Un altro tono più su . La voce si era fatta stentorea e il colorito intenso. L'acuto era prossimo. Il padre, depositario del patronimico Sveltolessi non sopravvivendo altri Sveltolessi in linea diretta ascendente, piccolo uomo mite e grassottello, fermo poco più in là con il capo chino, si girò verso la figlia e, guardandosi la punta delle scarpe, disse:
" Lo sapevo, doveva per forza finire così. Una femmina! Io non la volevo. Avevamo già due maschi grandi, che non c'hanno fatto tribolare per niente,a crescerli! Potevamo mandarla a perdere! E adesso, guarda. Lavoriamo come gli animali, le compriamo tutto quello che vuole. E lei, la mattina non vuole mai venire a scuola, mi fa diventare matto. Sua mamma fa i turni e arriva nel pomeriggio, io torno la notte alle due, alle tre -faccio il pizzaiolo- e la mattina delle volte non ce la faccio proprio ad alzarmi. E faccio tutto per lei, e lei non impara a leggere e fa la quarta!",
Mamma:"Forse perché è dislessica! La diagnosi...".
Papà, testa bassa, voce sempre più atona:
"Sei tu che l'hai voluta. E adesso goditela, quest'asina che non sa niente. Io le ho anche comprato il computer, dillo alla maestra, che te l'ho comprato!".
Enrica Sveltolessi ebbe un lampo improvviso nello sguardo, una balugine felina serpeggiò dagli splendid occhi color dell'oro in direzione del genitore.
E per tutta la scuola si udì un urlo:" Ma chi cazzo te l'ha chiesto!!!".
Alleluja! E' finalmente chiaro. Esiste un dio dislessico!

martedì 21 luglio 2009

Adele

La notizia percorse le vie come una scarica elettrica e scosse i sensi e le menti: Adele era stata assassinata. Perché, si chiedevano tutti, non ha mai fatto male a nessuno! Era una signora dolce, serafica, un po' strana, a dir la verità. Vestiva rétro, con guanti di pizzo sempre, bianchi d'estate neri d'inverno. Sorrideva in modo lieve e parlava usando la voce come una nenia dolce e rassicurante. Gestiva una tabaccheria a San Pietro,piccolo vecchio grumo di case poco lontano dal paese maggiore.Il negozio si trovava al piano terra della casetta, mentre al piano superiore c'era l'abitazione. E qui, in cucina, sgozzata dalla lama di un coltello da bistecca, Adele aveva finito la propria vita. Pochi giorni dopo fu arrestato un ragazzo, che confessò rapidamente il delitto, chiudendosi poi in un silenzio che dura ancora oggi, a distanza di quasi trent'anni.
Dicono che durante la confessione abbia esclamato:" Era una strega maledetta! Neanche in chiesa era normale. Non vi ricordate che portava il velo di pizzo nero al contrario, con la punta sulla fronte? Io andavo lì per comprare le sigarette, e lei mi invitava sempre a casa sua, a pranzo, a cena, a merenda...Io volevo solo le sigarette, solo le sigarette, solo le sigarette...".

lunedì 13 luglio 2009

Parassitosi

Situazione: Controllo igienico sanitario
Tempo storico: Quando il medico scolastico poteva ancora fare il medico scolastico
Luogo: Scuola primaria, classe seconda

Dottore: Senti, piccola come ti chiami? Ah, Enrica Sveltolessi! Sono quattro settimane di seguito che mando a casa il cartellino di segnalazione di pediculosi e la tua testa va sempre peggio. Perché la mamma non si decide a lavartela e a curarti come si deve?
Enrica Sveltolessi: Veramente la mamma, quando legge il cartellino, continua a borbottare che non capisce come mai tu insisti a dire che ho i piedi sporchi. Me li lava due o tre volte al giorno con l'acqua bollente e io non riesco neanche più a mettermi le scarpe per il bruciore. E dice anche che sei un po' scemo perché la volta dopo mi riguardi la testa e mai i piedi. Magari, se ti decidi, domani riesco a mettermi le scarpe da ginnastica per andare in palestra.

Allergia

Scuola primaria, classe seconda, avviso sul diario:
Si comunica ai Sigg. Genitori che , in data 22 maggio p.v., verranno somministrati agli alunni i test previsti dal progetto svolto in collaborazione con la Dott.ssa Angeli dell'università di Pavia. Distinti saluti.
Firma di un genitore o di chi ne fa le veci

Mattino del giorno dopo.
Solita mamma di Enrica Sveltolessi che prova a superare lo sbarramento bidelle. "Signora, non può entrare."
"Io entro eccome. Questione di vita o di morte. Devo parlare con le maestre!".
"Dica a noi! Riferiamo subito! Lei non può entrare tutte le mattine! Se i genitori facessero tutti così!"
"Io entro!".
"No!!! Proprio no, lei stamattina non entra! Ci siamo stufate della sua prepotenza e, inoltre, abbiamo disposizioni precise, se lei insiste, di chiamare le forze dell'ordine!".
La signora si sgonfia alla fatale citazione! Passino vigili, carabinieri, polizia, ma le forze dell'ordine!
Si gira verso il vialetto esterno come per andarsene, poi di nuovo verso le indomite bidelle e, con la destra alzata e l'indice puntato e minaccioso, fa dice:" E va bene!!! Me ne vado! Ma dite alle maestre che non si permettano di far mangiare nulla a mia figlia che è allergica a tutto senza il mio permesso scritto e, soprattutto, senza il parere del pediatra! Chiaro?! Vi denuncio tutti, io, tutti! Chiaro?".

domenica 12 luglio 2009

Prezzo zero

Che mi costa alzarmi ogni mattina alle sette, uscire per andare a lavorare e fare un sorriso a quella che versa nel mio cortile venti chili di roba puzzolente per i due o tremila piccioni che poi scagazzano sulla mia biancheria, sul mio terrazzo e sulla mia testa?
Che mi costa sorridere alla mamma del bambino di tre anni che aspetta l'autobus alla mia stessa fermata e dice ogni giorno, quando mi vede "Arriva la bagascia" e quella mamma sghignazza divertita?
Che mi costa fare un bel sorriso al vecchio rancido che,sul bus,mi dà una bastonata sullo stinco dicendo che devo cedergli il posto perchè lui è vecchio? Ma se stai bene, ma se non c'hai un cazzo da fare! Ma perché non stai a dormire a quest'ora della mattina?
Che mi costa sorridere al controllore che chiede il biglietto a me che sono convinta di avere la tessera nel taschino laterale della borsa e mi accorgo che la borsa non ha neanche il taschino perché stamattina ne ho preso un'altra e lui mi guarda come una ladra e ci impiega trentacinque minuti a farmi il verbale e intanto è ora di scendere e intanto quello che so che il biglietto non ce l'ha mai è già sceso due fermate prima?
Che mi costa sorridere all'obesa signora che, mentro al capolinea cerco di scendere, lei sale attraverso l'uscita e mi pesta l'alluce dove ho un principio di unghia incarnita?
Che mi costa sorridere al buttadentro dell'esattoria delle tasse che, dopo cinque ore di coda fuori al caldo, diventa un buttafuori e dice di andare tutti a casa perché gli impiegati non fanno più in tempo a servire tutti?
Che mi costa sorridere alla signora del piano di sopra quando la incontro nel portone dopo che, per tre notti consecutive, ha spostato i mobili fra l'una e le tre per cambiare assetto alla casa perché di giorno lavora?
Che mi costa sorridere al mio trentacinquenne figlio che viene a passare qualche raro fine settimana dai suoi genitori e pretende che tutto sia immutato e immutabile nel tempo?
E che mi costa sorridere all'uomo che mi è marito non ricordo nemmeno più da quanto tempo e che protegge e difende e realizza,serafico e costante , qualsiasi evento catastrofico si verifichi, la sua nannina, la sua cacchina, la sua pappina, la sua partitina?

E se li mandassi tutti affanculo, e, insieme a loro tanti altri, che mi costerebbe?

Ringrazio Pia per lo spunto.

SILLABARIO

"Gemma, senti", disse il più giovane dei cinque figli del Patriarca di Montalbano mentre la cognata gli versava il caffelatte nella scodella e gli passava il pan biscotto per la colazione. "Gemma, senti. Tu non sai leggere e scrivere. Che dici se ti compro un sillabario e ti aiuto a imparare?". "Se ci tieni, va bene, Gio! Però i conti che mi servono per la spesa, per vendere i polli e le uova e per i giorni del calendario li so fare. Leggere e scrivere non mi servono a niente.".
"Ma chi sa leggere e scrivere sa meglio difendersi!". Gemma non capiva: da che cosa avrebbe dovuto difendersi?
Ma Gio (Giovita per intero) era il suo cocco e decise di provarci.
E così, ogni giorno, imparava una lettera. Ma il giorno dopo non la sapeva più. Gio non era contento e Gemma ancora meno. Si incaponiva sugli esercizi e intanto lasciava indietro la casa, la stalla, le mucche, gli altri animali, i cortili. Dopo qualche giorno, la fattoria era un macello e nessuno sapeva perché, visto che tutti uscivano il mattino e tornavano la sera, e la Gemma restava lì a fare la residora.
Un giorno, però, Lorenzo, suo marito, il maggiore dei cinque fratelli, tornò a Montalbano con il veterinario avendo notato che Moro, uno dei due buoi, non stava troppo bene. Capitò nel cucinone, Lorenzo, dietro le spalle di Gemma che ripeteva, con il sillabario aperto, A come ape, O come oca, U come uovo, e così via. L'uomo la prese per i capelli e le sbatacchiò qua e là la testa, gridando:" Ecco perché! Ma che cosa credi, che ti abbia sposato per fare la signora? Se ti trovo di nuovo a perdere tempo, ti chiudo in un sacco e ti riempio di legnate!".
Gemma raccolse da terra le forcine per i capelli e risistemò le lunghe grosse trecce intorno al capo, annuendo verso il marito. Aveva capito.
Il mattino dopo, nel cesso, appese al gancio della carta per pulirsi quando il fico era spoglio, stavano, tagliate meticolosamente a metà, le pagine del sillabario.

martedì 7 luglio 2009

Il Patriarca

Il Patriarca uscì dal portico posteriore della cascina di Montalbano, quello che dava sulla strada che portava ai vigneti. Indossava i suoi soliti pantaloni grigi con il fondo leggermente risvoltato, calzerotti fatti a mano e sandaloni di cuoio. Portava, appeso alla vecchia cintura essa pure di cuoio grasso, un grosso corno adatto per contenere le cesoie da vigna. Aveva indosso una vecchia camicia profumata di sapone da bucato, infilata solo in parte nei pantaloni e seminascosta dal gilet mille tasche, queste ultime piene di mille inimmaginabili piccoli oggetti. Angelina e Silvana stavano sedute un po' più in là del letamaio a chiacchierare. Silvana stava per sposarsi, Angelina aveva appena avuto la sua prima mestruazione. I loro padri erano il più vecchio e il più giovane dei cinque figli del Patriarca; le due cugine mantenevano la proporzione temporale dell'albero genealogico. "Nonno, vieni un po' qua con noi.".
Il Patriarca disse "Sì!" e si infilò nel cesso spinto da urgente necessità. Dopo qualche istante, si vide una mano uscire dalla porta sgangherata e strappare le foglie dell'albero di fico piantato ad arte accanto alla porta. Dopo alcuni rumori, un pacato grido di liberazione e un'imprecazione per l'azione urticante delle foglie di fico, il patriarca uscì dal cesso. Era un po' provato, sudato: prese la stradina che portava al campo grande e si avvio'. Dopo qualche passo, rallentò, calibrò l'andatura e si mise a camminare caracollado ad ogni passo e ad ogni passo si udiva l'inequivocale rumore di un peto possente. L'esecuzione procedeva a ritmo di quattro quarti con movimento lento ma non troppo. Ma nonno, che cosa fai. "Chi, io? Niente ". Ma nonno, come niente, e poi continui a girarti. Che cosa guardi. Guardi se le vedi, le tue loffe? "No, guardo se le raccogli. Pesano un po', ma potrebbero esserti utili. E poi sapete come si dice, no? Trombità di culo sanità di corpo. C'è più spazio fuori che dentro. Ma 'ndo vai se la banana ... non ce l'hai!
" Ma nonno, che c'entra la banana!" "C'entra, c'entra... Basta ungere bene!"
La Silvana, che sa le cose, lo guarda:"Oddio, il nonno è impazzito!".
"Che cavolo stai pensando, tu! C'ho novant'anni...e allora? Mi tira ancora! E allora! Tua nonna è morta da trent'anni e son trent'anni che aspetto di rivederla in paradiso e ieri quel pirla di un prete ha detto dal pulpito che finalmente in cielo saremo liberi dal piacere della carne! Liberi, capisci? Trent'anni, capisci?E fammi cantare, va!
Ma 'ndo vai se la banana...non ce l'hai!"

Gemma


Gemma faceva la residora, nella fattoria di Montalbano. Per chi non lo sapesse, nelle famiglie patriarcali del bresciano, la residora era la nuora moglie del figlio maggiore del Patriarca, la quale nuora ereditava naturalmente i compiti della Matriarca, cioè doveva badare alla casa e a tutti i suoi abitanti. Il Patriarca di Montalbano aveva cinque figli, tutti maschi e tutti stramaschilisti. Gemma era entrata per prima, nella famiglia, con tutti quei maschi ancora da sposare più il Patriarca. Non voglio esaudire ogni curiosità circa l'adattamento di Gemma alla sua nuova vita da sposina e all'inserimento nella grande famiglia di Montalbano.
Un anno dopo la cerimonia nuziale, un mattino, sul far dell'aurora, Gemma scese in cortile stringendo le cocche del grembiule colmo di mais frantumato, becchime per i polli. Al suo magico richiamo, le si radunarono attorno anatre, faraone, giovani pollastri e un paio di tacchini. Dall'apertura alta del pollaio svolazzarono una decina di galline ovaiole, la Nerina, la Rossa, la Bianca, la Dorina e via via tutte le altre, ognuna con il proprio, nome. In alto, sul primo piolo della scaletta, orgoglioso e fiero, con le piume lustre e lucenti ai raggi del primo sole, Gerardo, magnifico gallo, valente Re del pollaio. Discese lentamente i sette pioli del trono, si avvicinò alla plebaglia del cortile che si contendeva il becchime mescolato con la polvere e il proprio sterco, gonfiò le piume del collo, tese le penne delle ali e della coda e cominciò a menar beccate finché fu solo davanti a Gemma. Stessa cerimonia di ogni mattina. Gemma aprì definitivamente le cocche del grembiule e lasciò cadere a terra il pasto riservato a Re Gerardo . L'enorme gallo si avvicinò al mucchio di mais e iniziò a riempirsi il gozzo, mentre gli altri stavano a guardare. Gemma lo fissava come sempre, ma quella mattina non pensava"Guarda lo stronzo", ma aveva nello sguardo una luce fredda, un bagliore mefistofelico. All'improvviso, prima che il Re se ne rendesse conto, Gemma lo afferrò per il collo e, pronunciando a mezza voce "Caro il mio Re, é giunta l'ora di smettere di fare il Re", gli ficcò il dito medio sotto la coda e lo capponò.