martedì 7 luglio 2009

Gemma


Gemma faceva la residora, nella fattoria di Montalbano. Per chi non lo sapesse, nelle famiglie patriarcali del bresciano, la residora era la nuora moglie del figlio maggiore del Patriarca, la quale nuora ereditava naturalmente i compiti della Matriarca, cioè doveva badare alla casa e a tutti i suoi abitanti. Il Patriarca di Montalbano aveva cinque figli, tutti maschi e tutti stramaschilisti. Gemma era entrata per prima, nella famiglia, con tutti quei maschi ancora da sposare più il Patriarca. Non voglio esaudire ogni curiosità circa l'adattamento di Gemma alla sua nuova vita da sposina e all'inserimento nella grande famiglia di Montalbano.
Un anno dopo la cerimonia nuziale, un mattino, sul far dell'aurora, Gemma scese in cortile stringendo le cocche del grembiule colmo di mais frantumato, becchime per i polli. Al suo magico richiamo, le si radunarono attorno anatre, faraone, giovani pollastri e un paio di tacchini. Dall'apertura alta del pollaio svolazzarono una decina di galline ovaiole, la Nerina, la Rossa, la Bianca, la Dorina e via via tutte le altre, ognuna con il proprio, nome. In alto, sul primo piolo della scaletta, orgoglioso e fiero, con le piume lustre e lucenti ai raggi del primo sole, Gerardo, magnifico gallo, valente Re del pollaio. Discese lentamente i sette pioli del trono, si avvicinò alla plebaglia del cortile che si contendeva il becchime mescolato con la polvere e il proprio sterco, gonfiò le piume del collo, tese le penne delle ali e della coda e cominciò a menar beccate finché fu solo davanti a Gemma. Stessa cerimonia di ogni mattina. Gemma aprì definitivamente le cocche del grembiule e lasciò cadere a terra il pasto riservato a Re Gerardo . L'enorme gallo si avvicinò al mucchio di mais e iniziò a riempirsi il gozzo, mentre gli altri stavano a guardare. Gemma lo fissava come sempre, ma quella mattina non pensava"Guarda lo stronzo", ma aveva nello sguardo una luce fredda, un bagliore mefistofelico. All'improvviso, prima che il Re se ne rendesse conto, Gemma lo afferrò per il collo e, pronunciando a mezza voce "Caro il mio Re, é giunta l'ora di smettere di fare il Re", gli ficcò il dito medio sotto la coda e lo capponò.

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