venerdì 16 ottobre 2009

Stella morente


Credo di aver provato,
almeno una volta,
un'unica volta,
l'angoscia di abbandonarti:
io ti ho lasciato
per un attimo,
un piccolo infinitesimale attimo.
Non posso parlartene
e neppure descriverti, quell'attimo.
Tu non puoi,
tu non vuoi sopportarlo.
La tua fragilità
è pari
alla grossolana percezione
del mio amore per te,
alla mancanza del senso dell'assoluto.
Non sentiresti il fuoco della lacerazione,
non sapresti vedere la luce abbagliante
della stella morente.
Neghi ancora
il tuo lampo di solitudine,
la certezza della mia decisione.
Ma è stato così breve!
Decisione senza impalcatura:
e i tuoi occhi,
quegli occhi che mi accompagnano,
sempre,
anche attraverso il sonno,
facendo si' che il mio abbandono
non possa durare più di un attimo.

giovedì 15 ottobre 2009

Il cammino

E si va avanti,
giorno dopo giorno,
passo dopo passo,
lentamente,
sempre uguali,
mano nella mano,
occhi negli occhi,
passione perversa dei corpi,
quieto sentimento parallelo.
Si va avanti,
cercando la dimenticanza,
il vuoto della mente
per non vedere
le nostre immagini
sparire nel tempo,
una dopo l'altra,
in solitaria successione.
Non è questo che voglio:
voglio andarmene con te,
giorno dopo giorno,
passo dopo passo,
mano nella mano
nell'attesa
di continuare
in eterno
il ritmo costante,
la musica verticale,
appesa al cielo,
alla corda di un violino
dal suono ineccepibile.
E cosi' si va,
giorno dopo giorno,
passo dopo passo,
mano nella mano,
occhi negli occhi,
fino all'ossessione,
sasso dopo sasso,
muro dopo muro.
E si va,
per la nostra strada,
senza respiro,
senza lasciarci,
senza un lamento,
senza un richiamo.
E così si va:
accanto a me,
accanto a te,
perché tu mi ami,
perchè io ti amo.

martedì 6 ottobre 2009

Il Patriarca, mentre giocava a tressette, guardava Parolini, che seguiva, assorto, la partita e rollava incessantemente il polpastrello del pollice contro quello dell'indice. Più o meno un'ora dopo, il Patriarca, dopo aver provato a rollare di nascosto con la mano sotto il tavolo, apostrofò lo spettatore:" Si può sapere che gusto ci provi a far così? Mi sembri uno scemo!". "C'hai provato, eh ?! Ma ce l'hai messa, la caccolina?".

lunedì 5 ottobre 2009

Le rape rosse

Ci sono cose, nella vita, che vorresti non succedessero mai. A me, per esempio, che sono una cloaca in fatto di cibo, cioé mi piace tutto, a me, dicevo, fanno schifo le rape rosse. Anche da piccola, le odiavo, e né mia madre, donna saggia e comprensiva, né mio padre, uomo bresciano tipo albero degli zoccoli, mi imposero mai di mangiarle.
Avvenne che, a sei anni non ancora compiuti, dopo l'orrido periodo legato alla tubercolosi di papà, l'inps pensò bene di regalare ai figli degli ex malati, un mese di permanenza nelle proprie colonie montane, per cui, piccola e ancora analfabeta, venni spedita nella casa di soggiorno di Locca di Ledro. Nessuno può immaginare la disperazione di un bambino nell' assurda solitudine di una colonia affollata e, soprattutto, nessuno può immaginare la mia doppia disperazione quando, un giorno,a tavola, mi fu posto davanti un piatto di rape rosse. Con i polsi appoggiati al bordo del desco montano,guardavo terrorizzata il mostruoso sanguigno mucchietto, stretta nella morsa laterale dei bimbi miei compagni di sventura che, a loro volta, riuscivano a muovere soltanto le dita, mancando lo spazio per allungare le braccia oltre il piatto, men che meno fino al bicchiere. Eravamo troppi, troppi figli della miseria, del freddo e della tbc.
"Perché non le mangi?". Era la voce rassicurante della mia Signorina, una di quelle maestrine che facevano assistenza nelle colonie pubbliche per un misero zero virgola dieci di punteggio. Mi piaceva, quella mia Signorina: aveva la voce morbida come quella della mamma e, ascoltandola, mi passava la voglia di piangere. "Non mi piacciono, le rape rosse", risposi sicura di me,"mi fanno venire l'urlo del gomito!".
Intanto le Signorine erano diventate tre e mi guardavano fisso. Io ricambiavo lo sguardo con la sicurezza e la spavalderia dei miei cinque anni e mezzo quasi sei.
E loro, le tre Signorine, si misero a ridere a sganascia denti, anche la mia Signorina preferita, e io persi in un lampo il mio sguardo ardito, la mia fierezza e mi lasciai andare ad un pianto sconsolato, mentre le tre grazie ripetevano stoltamente il mio storpio di frase.
Piansi per poco, pochi minuti di abbandono! Mi alzai di scatto e, sebbene con le braccia quasi bloccate dalla spinta degli altri bambini, detti un colpo secco sotto il piatto: le rape finirono miseramente in mezzo al tavolo e, in parte, nella brocca di quell'acqua che mai nessuno aveva potuto bere.
Non ci crederà, chi legge, se qualcuno legge, ma, diventata adulta, ho voluto mangiare le rape, ho imparato persino a gradirle, perché, quel giorno, mi ripromisi che mai più nessuno avrebbe riso per le mie parole sbagliate. Da quel giorno cominciai ad accumulare libri, montagne di libri, preziosi come null'altro, e non solo libri, ma tutto quanto fosse suscettibile di lettura, e, ancora oggi, leggo, leggo, leggo. E, non ridete, mangio le rape per gratitudine.